L’uomo moderno ha ancora bisogno di Dio
La Pandemia ha costretto anche il nostro Santo Patrono a restare a casa per due anni senza poter più avere contatti con l’esterno.
L’attenuazione del virus sta permettendo un graduale ritorno alla normale e alla consueta routine quotidiana in tutti gli ambiti, compresi quelli religiosi.
Eccoci qui questa sera a vivere prima il momento più intimo e più nobile, che è costituito dalla celebrazione eucaristica, fonte e culmine della vita del cristiano e della Chiesa, alimento insostituibile per gli uomini e le donne di ieri e di sempre che hanno deciso di seguire il Signore come riferimento fondamentale della propria vita, e poi il momento più esterno e pubblico costituito dalla processione dell’immagine del Santo come vero atto di fede e di testimonianza pubblica del nostro credere.
Non ci può lasciare indifferenti quanto ci giunge a livello informativo circa la situazione religiosa del nostro Paese.
A quanto pare il cristianesimo in Italia pare essere inesorabilmente in declino. Una recente indagine infatti riferisce che ogni anno circa 700.000 persone lasciano la fede cattolica e si dichiarano atei.
L’80 per cento degli italiani non legge mai la Bibbia e la maggior parte dei giovani lascia la chiesa dopo la Cresima. Cercare realmente di seguire Gesù è un desiderio che riguarderebbe solo l’1 per certo degli italiani.
Questa prospettiva inquietante deve scuotere e interpellare tutti!
A tutto ciò si deve anche aggiungere che le nuove generazioni sono completamente estranee alla vita cristiana, non conoscono minimamente la grammatica della chiesa e non possono conoscere il fascino di Gesù.
A queste condizioni domanda che sorge spontanea è: l’uomo moderno ha ancora bisogno di Dio e della religione? Perché le chiese sono sempre più vuote?
Il cammino sinodale che tutta la Chiesa sta vivendo deve portarci a farci tante domande e tra queste provare anche a chiederci: Come cristiani avvertiamo il bisogno di ritrovarci, di riflettere, di condividere, di confrontarci?
Dobbiamo imparare a stare non uno accanto all’altro per tornare a far numero, ma ad essere volti/rivolti verso l’altro, ma prima ancora verso l’Alto.
Dobbiamo passare dall’indifferenza alla compassione, dallo spreco alla condivisione, dall’egoismo all’amore, dall’individualismo all’amore.
Il Papa domenica scorsa (25.09.22) a conclusione del 27° Congresso Eucaristico Nazionale svoltosi a Matera, nell’omelia ha invitato tutti a sognare “una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucarestia e adora con stupore il Signore presente nel Pane; ma che sa anche piegarsi dinanzi alle ferite di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti “Lazzari” – ha affermato con forza il Papa – che anche oggi ci camminano accanto”.
In effetti in questa cultura dell’indifferenza gli uomini diventano sempre più egoisti e pensano solo a se stessi.
Frantumare o abbattere questo modus vivendi e convertire il mondo non è operazione di un politico, né tantomeno della neo eletta premier Giorgia Meloni, ma è qualcosa che riguarda ciascuno di noi nei riguardi di se stesso prima e poi nel tentativo di aiutare gli altri a curare il virus del narcisismo.
La fede, e in particolare l’Eucarestia, possono aiutarci in questa fase di terapia ricostituente!
Gesù infatti ci sfama e ci guarisce, Egli ci dona il pane della condivisione e ci invita a percorrere le strade del mondo, e con le nostre occupazioni quotidiane ci rende apostoli di fraternità, di giustizia e di Pace.
S. Girolamo ci invita a mettere Gesù al centro della nostra vita, esattamente come ha fatto Lui.
Egli ha fatto di Dio il riferimento e il “motore” essenziale della sua esistenza.
Qualcuno potrebbe disapprovare la scelta di Girolamo di aver privilegiato la solitudine ritirandosi a Betlemme, nella terra dove è nato Gesù.
Ah, se anche noi ci ritagliassimo, nelle nostre giornate, tempi di silenzio e di solitudine per riflettere e ascoltare cosa ci consiglia Dio, attraverso il suo Spirito che vorrebbe suggerire a tutti ciò che dovremmo fare.
L’isolamento di Girolamo non fu di stampo solipsistico, chiudendo ogni genere di rapporti umani e dialoghi spirituali, anzi le sue Lettere ci testimoniano contatti epistolari che intratteneva con chi a Lui si rivolgeva per chiedere consigli spirituali.
Sempre nella propensione del pensare agli altri più che a stesso, Girolamo si preoccupò di tradurre i Testi Sacri (la Bibbia) dalle lingue originarie (aramaico – ebraico – Greco) nella cosiddetta Vetus Latina, permettendo a tutti di potersi accostare, leggere e meditare le Divine Scritture per trarre da esse nutrimento spirituale attraverso l’incontro con Cristo che si comunica agli uomini massimamente attraverso la Parola e i Sacramenti, e ci chiede di conoscerLo sempre più e amarlo e testimoniarlo con la nostra vita.
don Pasquale