«La tunica di Cristo fatta a pezzi dalle divisioni nella Chiesa»
La tunica “di Cristo”, conservata a Treviri
La Passione secondo Giovanni domina il Venerdì Santo.
Nel suo Vangelo l’apostolo usa due volte soltanto il
verbo schízo, dividere:
per descrivere la tunica di Gesù, durante la passione, e la rete
di Pietro, dopo la risurrezione.
Tutte e due sono indivisibili. La traduzione italiana
non lascia vedere l’impiego dello stesso verbo, come invece nel greco: della tunica
è detto che era tutta d’un pezzo e quindi i soldati decisero di non dividerla;
della rete di Pietro si dice che non si strappò. In ambedue i casi
nessuna divisione, nessuna schizofrenia.
La tradizione ha visto nella tunica indivisa di Gesù il simbolo della Chiesa. Le vesti furono divise in quattro parti, scrive Agostino, a indicare che la Chiesa è diffusa ai quattro venti. La tunica non viene stracciata perché la Chiesa, cattolica e sparsa nel mondo, rimane sempre una.
“Questo mistero dell’unità – scrive san Cipriano –
questo vincolo della concordia… viene raffigurato quando nel Vangelo la tunica del Signore Gesù Cristo non
viene affatto divisa né stracciata… Non
può possedere le vesti di Cristo colui che scinde e strazia la Chiesa di
Cristo… Col mistero della tunica e col simbolo di essa, Cristo raffigurò
l’unità della Chiesa”.
Similmente accadde alla rete di Pietro durante la pesca miracolosa dopo la risurrezione. Aveva pescato 153 grossi pesci, tuttavia la rete non si strappa, rimane unita, proprio come la Chiesa.
Noi, invece,
con i nostri comportamenti, finiamo col ferire la fraternità e la comunione
ecclesiale!
Si potrebbe dire che la tunica di Cristo è stata fatta a pezzi dalle divisioni tra le Chiese, ma quel che non è meno grave è che ogni pezzo della tunica è spesso diviso, a sua volta, in altri pezzi. La constatazione delle nostre divisioni, piuttosto che ad un atteggiamento di rassegnazione, deve spingerci con più forza a risanarle.
Come possiamo notare, dunque, la “cattiva condotta” o
il “tradimento” non è solo opera di Giuda o di Pietro!
Una sorte di esame di riparazione si addice ai due “Traditori”, ma anche a ciascuno di noi (chi più, chi meno).
Ma sappiamo che per Giuda non si può fare più nulla, mentre Pietro può ancora “redimersi”.
Santa Teresa
del Bambino Gesù faceva riferimento
alla vita di Pietro in questi termini: «Capisco benissimo che San Pietro sia
caduto. Il povero San Pietro confidava in sé stesso invece di confidare
unicamente nella forza di Dio (…). Sono convinta che se San Pietro avesse
detto umilmente a Gesù: “Concedimi la
forza di seguirti fino alla morte”, l’avrebbe ottenuta immediatamente (…).
Prima di governare tutta la Chiesa, che è piena di peccatori, gli conveniva
constatare nella sua stessa persona quanto poco l’uomo può fare senza l’aiuto
di Dio» (Santa Teresa del Bambino Gesù, Ultimi colloqui, 7-VIII-1897).
Non dimentichiamo mai che sulla Croce Gesù ha “canonizzato” un peccatore convertito, “Oggi sarai con me in Paradiso”, e per tutti ha chiesto misericordia: “Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno”.
Il Tradimento è un uragano che sradica tutto ciò che si è costruito
Tra i momenti più commoventi del Giovedì Santo c’è il tradimento di Giuda Iscariota, uno dei dodici apostoli scelti da Gesù. Giuda non era nato traditore e non lo era al momento di essere scelto da Gesù, lo divenne! Perché lo divenne? I vangeli – le uniche fonti attendibili che abbiamo sul personaggio – parlano di un motivo molto più “terra-terra”: il denaro.
A Giuda era stata affidata la borsa comune del gruppo;
in occasione dell’unzione di Betania aveva protestato contro lo spreco del
profumo prezioso versato da Maria sui piedi di Gesù, non perché gli importasse
dei poveri, fa notare Giovanni, ma perché “era un ladro e, siccome teneva la
cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro” (Gv 12,6).
La sua proposta ai capi dei sacerdoti è esplicita:
“Quanto siete disposti a darmi, se io ve lo consegno?
Ed essi gli fissarono trenta sicli d’argento” (Mt 26, 15).
“L’attaccamento al denaro – dice la Scrittura – è la radice di tutti i mali” (1 Tm 6,10).
Dietro ogni male della nostra società c’è il
denaro, o almeno c’è anche il denaro.
Per trenta
denari vende il Maestro ai suoi nemici.
Dante mette all’inferno i traditori dell’amicizia, i
traditori dei parenti, i traditori dell’umanità. Li mette nel lago ghiacciato
del Cocito, il lago ghiacciato dell’inferno. Tra questi traditori vi è
l’Iscariota, che troviamo nel XXXIV canto dell’Inferno:
“‘Quell’anima là sù c’ha maggior pena’, disse ‘l maestro,
‘è Giuda Scariotto, che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena’”.
Nel punto più basso dell’inferno c’è il ghiaccio, la freddezza, il calcolo. Il fuoco a dire il vero è in Paradiso, nel punto più alto.
Il tradimento di Giuda, tuttavia, non fu un atto
impulsivo, ma premeditato. I Vangeli raccontano che Satana entrò in lui (Luca
22,3), suggerendo che il suo cuore si era gradualmente allontanato da Gesù.
Sebbene Giuda fosse stato testimone dei miracoli e avesse ascoltato gli
insegnamenti di Cristo, permise all’ambizione, alla delusione o alla
disillusione di condurlo su un sentiero oscuro.
La vicenda di Giuda ci insegna che tutti siamo capaci di peccare, di
allontanarci da Dio e di tradire ciò che amiamo di più. Giuda non era un
mostro, ma un essere umano fallibile, come ognuno di noi.
Tutto l’Antico Testamento è disseminato di tradimenti,
Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe venduto dai fratelli….
Tradimento originario fu quello che affonda le sue
radici fin dall’inizio della storia salvifica, quando Adamo ed Eva si voltarono contro Dio.
Violando la fiducia di Dio, il tradimento come un
uragano sradica tutto ciò che avevano costruito, portando con sé un senso
di perdita e di peccato che anche oggi attanaglia la felicità delle coppie e
della convivenza umana.
Il Tradimento è il rifiuto dell’amore. Certamente ci sarà stato un tempo in cui anche Giuda ha amato Gesù, ma non sappiamo il perché e il quando di questa interruzione di esperienza di amore di Giuda nei confronti del suo Maestro. Tuttavia, siamo certi che, come il giovane ricco, mai Gesù ha smesso di amare Giuda, “Eterno è il suo amore per noi” (Salmo 136).
Agli occhi di Gesù, Giuda rimane un amico.
Chi è l’amico? È il tu di me sul quale posso sempre contare.
Uno scrittore come Christiansen afferma:
“Non siamo mai davvero soli, quando si ha un amico. Un
amico sta ad ascoltare quello che tu dici e cerca di comprendere ciò che non
riesci a dire”.
Don Primo Mazzolari, in una Settimana Santa, tenne una predica dedicata proprio a Giuda “nostro fratello”. «Povero Giuda – aveva esordito il sacerdote – che cosa gli sia passato nell’anima io non lo so. È uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella passione del Signore. Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non mi vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore, e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui.»
Gesù non si arrende e tenta fino all’ultimo di liberare Giuda da questa sua possessione diabolica. Nonostante il Maestro, come espressione d’amore, nell’Ultima cena abbia lavato i piedi al discepolo, il suo gesto è stato inutile. Ha lavato i piedi a tutti, ma non tutti sono puri (Gv 13,9) e Giuda rimane nell’impurità totale (“Satana entrò in lui”, Gv 13,27). Questo è un richiamo anche per noi se prendiamo parte ai sacri riti solo per adempiere a un precetto e tacitare le nostre coscienze, senza permettere alle preghiere, gesti, canti e parole di scalfire e convertire i nostri cuori con una rinnovata condotta di vita da intraprendere di conseguenza.
Nella vita quotidiana, anche noi possiamo cadere in
atteggiamenti che ci allontanano da Dio: la
menzogna, l’invidia, l’egoismo,
l’indifferenza verso la sofferenza degli altri. Il tradimento di Giuda ci
invita a esaminare il nostro cuore e a chiederci: in quali momenti ho tradito i miei valori, la mia fede o le persone che
amo, la Chiesa, la mia comunità parrocchiale?
Anche oggi si può giungere a criticare, contestare la Chiesa, la propria comunità parrocchiale, adducendo motivazioni subdole che mascherano i veri motivi come la mancata conquista del “palcoscenico tutto per sé”, riducendo gli altri a muti ascoltatori e adoratori di qualche leader di turno.
Di fronte all’approssimarsi del tradimento, Gesù indica, nel corso dell’Ultima Cena, come il traditore non sia fuori di noi ma dentro di noi, tra noi, uno di noi, prossimo a noi. Ha mangiato con noi, ha condiviso con noi la tavola: «La mano di colui che mi tradisce – dice Gesù – è con me, sulla tavola» (Lc 22,21). “Cosa c’è di più intimo del mangiare nello stesso piatto, del mangiare insieme, del condividere la stessa tavola? […] Il traditore mangia nello stesso piatto del Maestro; si è nutrito della sua parola, ha beneficiato del suo insegnamento, ha condiviso la stessa tavola. E ora vuole distruggere il suo maestro, sputa sulla parola che lo ha formato, non mostra alcuna gratitudine per quello che ha ricevuto, non riconosce alcuna forma di debito”(Cf. Massimo Recalcati, “La notte del Getsemani”, Einaudi, Torino, 2019, pp. 33-34-35). Un fatto mi sembra più che certo: Cristo poteva vendicarsi, ma ci ha reso felici insegnandoci il perdono. Donandoci la Resurrezione.
don Pasquale
PREGHIERA
Dio onnipotente ed eterno,
che hai dato come modello agli uomini
il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore,
fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce,
fa’ che abbiamo sempre presente
il grande insegnamento della sua passione,
per partecipare alla gloria della risurrezione.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
-dalla Liturgia-
“Il tradimento di Giuda”
Di fronte all’approssimarsi del tradimento, Gesù indica, nel corso dell’ultima cena, come il traditore non sia fuori di noi ma dentro di noi, tra noi, uno di noi, prossimo a noi. Ha mangiato con noi, ha condiviso con noi la tavola: «La mano di colui che mi tradisce – dice Gesù – è con me, sulla tavola» (Lc 22,21). Cosa c’è di più intimo del mangiare nello stesso piatto, del mangiare insieme, del condividere la stessa tavola? […] Il traditore mangia nello stesso piatto del Maestro; si è nutrito della sua parola, ha beneficiato del suo insegnamento, ha condiviso la stessa tavola. E ora vuole distruggere il suo maestro, sputa sulla parola che lo ha formato, non mostra alcuna gratitudine per quello che ha ricevuto, non riconosce alcuna forma di debito.
Massimo Recalcati, “La notte del Getsemani”, Einaudi, Torino, 2019, pp. 33-34-35